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Pur occupandosi di progettazione a tutti i livelli di scala ed operando in molteplici campi disciplinari, o+a pone il paesaggio al centro del processo creativo. Questo approccio nasce dalla consapevolezza che la concezione ottocentesca del paesaggio come “bel panorama”, o, peggio, come “fondale” di un intervento edilizio, è oggi superata e anacronistica; al contrario, per paesaggio si deve intendere il territorio nel suo assieme, comprendendo anche e soprattutto gli ambiti più degradati e marginali, ed in generale tutto quanto concorre a determinare gli assetti di un luogo non soltanto a livello fisico-percettivo, ma anche sotto l’aspetto funzionale e, in senso lato, culturale. Occuparsi di paesaggio, in questa chiave, non significa quindi occuparsi solo di “verde” o di “natura” a fini decorativi, quanto piuttosto ragionare in termini strutturali e sistemici, contemperando discipline diverse e talora in conflitto come scienze ambientali, urbanistica, architettura, economia e sociologia.

Il paesaggio è infatti un prodotto complesso, determinato dalla stretta interazione tra opera della natura ed opera dell’uomo. Quasi tutti i paesaggi sono “costruiti”, soprattutto nel contesto antropizzato del mondo occidentale. L’Italia non fa eccezione in questo senso, ed anzi rappresenta un esempio emblematico di tale complessità. Per secoli il paesaggio italiano è stato lentamente modellato e trasformato in base alle esigenze umane, sempre tuttavia raggiungendo una felice sintesi tra “forma” e “funzione”. Le innovazioni tecnologiche e lo sviluppo economico dell’ultimo secolo hanno tuttavia compromesso questo delicato equilibrio. Mentre la “città diffusa” cancella le differenze tra ambiente urbano e campagna, i paesaggi storici subiscono un progressivo abbandono ed un conseguente degrado. A queste criticità si aggiungono problemi un tempo ignoti o poco rilevanti come l’inquinamento, l’alterazione delle matrici ambientali, la disfunzionalità dei processi ecologici. Intervenire sul paesaggio significa quindi anche lavorare sugli “impatti” dell’intervento, e quindi, ad esempio, occuparsi delle caratteristiche costruttive degli edifici e dei sistemi di approvvigionamento energetico.
Oggi il paesaggista è inevitabilmente chiamato a confrontarsi con questa complessità. La sua formazione deve unire le competenze dell’architetto, dell’agronomo, dell’ingegnere e del pianificatore. Forte di questa consapevolezza, o+a opera in una prospettiva di marcata interdisciplinarità.

Per gestire questa molteplicità di temi, il progetto di paesaggio deve inoltre radicarsi fortemente nel “locale”. I principi insediativi e le dinamiche del luogo (sia a livello fisico che sociale) costituiscono cioè la materia principale del progetto, il “tessuto connettivo” capace di mettere a sistema le diverse componenti ed i vari apporti settoriali che confluiscono nell’intervento. Lungi dal ridursi alla superficialità dell’arredo urbano o della mimesi a posteriori, il progetto di paesaggio si colloca quindi ad un livello alto, “epico” ed “etico” al tempo stesso, tale da condizionare in termini “fondativi” l’attività progettuale nel suo assieme. Proprio per questa natura “strutturale” e per la sua capacità di individuare “invarianti”, il progetto paesaggistico è inoltre in grado di assorbire la necessità di indeterminatezza che spesso si impone all’intervento edilizio. Se infatti gli edifici possono cambiare al modificarsi delle richieste di mercato, gli assetti generali dell’intervento costituiscono invece i capisaldi a cui ancorare il progetto per salvaguardarne l’identità. Solo conferendo ai temi paesaggistici la necessaria centralità diventa possibile intervenire su tali assetti ed esercitare un controllo fattivo sulle dinamiche di trasformazione territoriale. A questo fine il progetto – tanto a livello “macro” quanto alla scala “edilizia” – non può eludere, e devi anzi porre a proprio fondamento, temi tipicamente “paesaggistici”, quali il rapporto tra costruito e non costruito, gli spazi aperti, la contestualizzazione delle infrastrutture, il disegno del verde.

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